Ultime parole di Bartolomeo Vanzetti

Bartolomeo Vanzetti, ha qualcosa da dire sul perché la sentenza di morte non debba essere emessa nei suoi confronti?

Sì. Ho da dire che sono innocente, non solo per il crimine di Braintree, ma anche per quello di Bridgewater. Non solo sono innocente di questi due crimini, ma in tutta la mia vita non ho mai rubato, non ho mai ucciso e non ho mai versato sangue. Questo è ciò che voglio dire. E non è tutto. Non solo sono innocente di questi due crimini, non solo in tutta la mia vita non ho mai rubato, non ho mai ucciso, non ho mai versato sangue, ma ho combattuto tutta la mia vita, da quando ho iniziato a ragionare, per eliminare il crimine dalla terra.

I crimini che la legge ufficiale e la legge morale condannano, ma anche il crimine che la legge morale e la legge ufficiale approvano e santificano, lo sfruttamento e l’oppressione dell’uomo da parte dell’uomo, e se c’è una ragione per cui sono qui come colpevole, se c’è una ragione per cui voi in pochi minuti potete condannarmi, è questa ragione e nessun’altra.

Questo è ciò che dico: Non augurerei a un cane o a un serpente, alla più bassa e sfortunata creatura della terra – non augurerei a nessuno di loro quello che ho dovuto subire per cose di cui non sono colpevole. Sto soffrendo perché sono un radicale, e lo sono davvero; ho sofferto perché ero un italiano, e io sono italiano; ma sono così convinto di essere nel giusto che voi potete uccidermi solo una volta, ma se poteste giustiziarmi due volte, e se io per due volte potessi rinascere, vivrei di nuovo per fare esattamente quello che ho già fatto.

Ho parlato molto di me stesso, ma ho persino dimenticato di fare il nome di Sacco.
Oh, sì, io posso essere più arguto, come qualcuno ha detto, sono un chiacchierone migliore di lui, ma molte, molte volte nell’ascoltare la sua voce accorata che risuonava di una fede sublime, nel considerare il suo supremo sacrificio, nel ricordare il suo eroismo mi sono sentito piccolo piccolo al cospetto della sua grandezza e mi sono trovato costretto a respingere dagli occhi le lacrime, e a frenare il mio cuore che mi palpitava in gola per non piangere davanti a lui – quest’uomo chiamato ladro e assassino e condannato.

Ma il nome di Nicola Sacco vivrà nel cuore della gente e nella loro gratitudine, quando le ossa di Katzmann e le vostre saranno disperse dal tempo, quando il vostro nome, il suo nome, le vostre leggi, le vostre istituzioni e il vostro falso dio non saranno che il ricordo di un passato maledetto in cui l’uomo si fece lupo sull’uomo.

Se non fosse stato per queste cose, avrei speso la mia vita parlando agli angoli delle strade a uomini che mi disprezzavano. 

Sarei potuto morire, senza lasciare traccia, sconosciuto, un fallimento. 

Ora non siamo un fallimento. Questa è la nostra carriera e il nostro trionfo.
Mai, in tutta la nostra vita, avremmo potuto sperare di fare un tale lavoro per la tolleranza, per la giustizia, per la comprensione dell’uomo da parte dell’uomo come facciamo ora per caso.
Le nostre parole, le nostre vite, il nostro dolore, niente!
L’aver preso le nostre vite – le vite di un buon calzolaio e di un povero pescivendolo – tutto!

Quest’ultimo momento ci appartiene,
questa agonia è il nostro trionfo!

Amiche Perdute

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Sto scrivendo alle una di notte di un venerdì di fine luglio.
Sono mezzo sbronzo, dato che ho smontato da lavoro mezz’ora fa, ho bevuto un litro di birra a stomaco vuoto e sono stanco morto.
Dato che è venerdì sera si suppone che io faccia festa, faccia qualcosa. C’è una specie di rave non troppo lontano da casa mia, ma sono solo come un cane, qua attorno parlano tutti tedesco e domani devo lavorare di nuovo, perciò rimango a casa.
Mi ingozzo di guacamole handmade e birra. E forse un Negroni.
E pensare che un tempo uscivo molto più spesso.
Alle superiori, in particolare in quarta, quando avevo 16/17 anni, avevo un gruppetto con cui uscivamo quasi tutti i venerdì sera, ci sfacevamo ammerda, e la cosa bella è che poi il giorno dopo avevamo di nuovo lezione, la mattina alle otto e mezzo.
Seguivamo le spiegazioni su Dante e la Divina Commedia in modalità zombie, con gli occhi sbarrati sul nulla e il cervello ancora impastato di droga e vodka.
Bei tempi, maledizione.
Una delle componenti fondamentali di quel gruppetto era A.
Una ragazza… particolare, oserei dire. Mezza scrittrice, mezza artista. Si era aggiunta alla nostra classe direttamente in quarta, perciò nessuno di noi la conosceva bene.
Però forte. Non saprei definirla in altro modo. Matta, eh. Strana da definire, da capire.
Ma forte, cazzo. E anche bella. Molto.
Poco dopo la fine delle superiori se ne è andata a vivere e studiare in Spagna, e lì so che ne ha combinate parecchie. Mi scrisse un messaggio bellissimo, poco prima di partire. Lo conservo ancora.
È uno di quei discorsi che non ti aspetti da una ragazza di vent’anni.
Un messaggio potente, che ogni tanto mi rileggo quando ho bisogno di rinfrancarmi.
Da lì in poi non l’ho più sentita.
Viveva in Spagna, aveva la sua vita strampalata là, e io qui in Italia.
Piano piano, non ci siamo più sentiti.
Poi, la magia.
È sparita da Internet.
È una di quelle cose che ancora non mi spiego, e di cui non so capacitarmi.
Non ha più un contatto Facebook, non ha una mail. Non ha più un blog. Non ha un sito internet. Se cerco il suo nome, mi rimanda a una sua foto dell’università spagnola che frequentava. Cercando molto più a fondo ho scoperto che, forse, ha fatto un master in un’altra università spagnola. Ma poi niente. Sparita nel nulla.
L’ultimo, vero contatto che ho avuto con lei risale a due o tre anni fa, dove la incontrai per caso mezzo sbronzo (e probabilmente anche lei) al Rex, il mio cocktail bar preferito a Firenze. Non sapevo fosse tornata in Italia, non la sentivo più da secoli. Me la sono trovata accanto al bancone, l’ho riconosciuta, saluti, baci abbracci e scambi di telefono.
Non l’ho più chiamata né sentita. Forse dovrei farlo.
È buffo, ma è quel tipo di persona di cui sento la mancanza.
Era una bella persona con cui scambiare idee, opinioni, esperienze.
Quindi, se mi leggi, scrivimi, A. Sennò lo farò io. O almeno ci proverò.

C’è invece un’altra amica a cui non proverò più a scrivere. Anche lei penso di averla perduta. È in qualche modo simile ad A.
Però è buffo come in questo caso la sua reperibilità sia completamente opposta.
A. è sparita dalla circolazione, non so nemmeno dove viva adesso.
Lei invece è su Facebook, commenta continuamente, pubblica foto, pure su Instagram.
Provo a scriverle e non mi risponde. Mai. Anche su Whatsapp. Eppure i messaggi le arrivano. O soffre del più temibile dei virus telefonico-computerico (?!), oppure non mi vuole leggere né rispondere. Propendo più per la seconda, visto che non è la prima (né la seconda, o terza, o quarta, quinta, sesta, settima…) volta che lo fa.
Non capirò mai perché.
Finché lo faceva in maniera più o meno saltuaria, riapparendo dopo un po’ di tempo e tornando a frequentarmi, la situazione era anche gestibile. Mi ha fatto male qualche volta, in vari modi, ma anche fatto bene in realtà. Mi ha aiutato a crescere, a capire tante cose. Anche con lei ho vissuto tantissime esperienze diverse. Tante sbronze. Serate sul tetto. Luci dell’alba, inchiostro sulla pelle. Graffi. Poi, complice la mia lontananza, abbiamo iniziato a sentirci e vederci meno. D’altronde, adesso abito a 1400 km di distanza da lei. È chiaro che diventa difficile vedersi, sentirsi, confrontarsi, vivere e condividere le stesse paure. Però con altre persone ci riesco ancora. Con lei no.
Sparita. Non mi risponde più, non mi scrive più. Non so più cosa faccia nella sua vita, dove sta, se sta bene o no, se ha bisogno di qualcuno con cui parlare o no.
Mi farebbe piacere, mi ha sempre fatto piacere e mi ha sempre fatto bene, in qualche modo. Come spero abbia fatto piacere a lei.
Però a quanto pare è finita. E non riesco neanche a capire il perché.
Forse in fondo non mi interessa nemmeno.
Non so nemmeno se leggerà questo post, che alla fine è anche un modo per provare a mettermi in contatto con lei.
Ma dato che mi leggono in quattro stronzi, probabilmente non se ne accorgerà nemmeno. E dato che negli ultimi mesi non si è nemmeno presa la briga di scrivermi o rispondermi, dubito che lo farà adesso.
Buffo quante persone importanti incontriamo nella nostra vita, che poi per un motivo o per un altro spariscono nel nulla.
Alcune addirittura durano un momento.

Uno sconosciuto alla fermata dell’autobus può cambiare la nostra vita in un attimo.
O una persona conosciuta fin troppo può distruggere sette anni di rapporto in un istante di “ho bisogno di fare nuove esperienze”.

 

L’estate è uno stato mentale

Ieri sera non ho cenato. O meglio, ho cenato con un due bicchieri di vino bianco a stomaco vuoto, mezzo pacchetto di patatine fritte e tre fette di salame. Il tutto alle due di notte, perché sono rientrato tardi da lavoro, e nonostante avessi già una cena mezza pronta, non avevo cazzi di cucinare.
Perciò ho dormito poco, almeno secondo i miei standard. Mi sono addormentato alle tre e mezzo con lo stomaco che si contorceva, e mi sono svegliato alle nove con una discreta botta. Ma niente che mezzo litro di succo e i miei venticin… ventisei anni non possano guarire. Quando sarò più vecchio magari mi darò una regolata, ma ora che posso farlo, affanculo mangiare sano e regolare. D’altronde Massimo Zanardi mangiava effettivamente solo una volta ogni due giorni.
Insomma, dopo una serata del genere, svegliarsi presto con un sole abbagliante è una medicina perfetta. Specie se vivi in Germania, dove il sole è una leggenda metropolitana.
Per coronare il tutto, ci vuole un bel giro in bici.
Ho inforcato perciò la mia fedele Bianchi e sono partito in direzione della campagna. Che ci crediate o no, poco fuori Brema è tutta campagna. Ed è una roba spettacolare. Verdissima, corroborante. Sterminata, per chilometri e chilometri, data la piattezza del paesaggio. Si alternano ogni tanto pale eoliche, vecchi magazzini, recinzioni, archeologia industriale.
Per me è un sogno. È una di quelle cose che non so spiegarmi, che mi piacciono e basta.
Recinzioni storte, staccionate di legno scortecciate, vecchi lampioni solitari immersi nel verde, capannoni abbandonati. Ruggine. Strade sterrate. Immerso nel verde, tra campi d’erba altissima, alberi e cespugli.
Pedalando a velocità folle, stordito dall’abbacinante sole di mezzogiorno, per un po’ mi sembra di essere già in estate, con quel cielo azzurro intenso e la canicola. La canicola è bellissima. Non solo è una parola stupenda, ma racconta così tanto. È quel caldo leggermente afoso, ricco di profumi e di sensazioni. Ha un odore tutto suo, una sensazione di calore che mi circonda e ha una luce che schiarisce e rende tutto un po’ più definito. Mi ricorda le città di porto, case bianche in pietra, asfalto secco e silenzio. Solitudine. Odore di mare e di vento.
Pedalo, travolto dalla canicola, dal verde e dal vento. L’ambiente è perfetto. Penso di poter vivere un Blast, forse lo sto già vivendo. L’onda d’urto di un’esplosione… sospeso per una frazione di secondo e interiormente distrutto.
Forse è questo che sto cercando, quello che sto rincorrendo in bicicletta, che provo a fare ogni volta che ho del tempo libero e uno spiraglio di sole. Cerco l’ispirazione, un’illuminazione, qualcosa che mi indichi la strada da seguire, o almeno la direzione. La cerco disperatamente e pedalo ancora più rapido, ancora più folle.
La bici e la velocità mi aiutano a focalizzare i miei pensieri. Concentrato sui pedali e su ciò che vedo davanti a me, mi si schiarisce la mente. Mi purifico, elimino scorie e metto meglio a fuoco ciò che prima era annebbiato. Ragiono molto, quando pedalo. Forse fin troppo. È per questo che pian piano, sottile e bastarda, si fa strada un’altra convinzione. Non è l’ispirazione che sto cercando. Non è la ricerca di una strada, o di un senso.
Sto scappando.
Sempre più rapido, sempre più disperato. A perdifiato. A capofitto.
All’inizio non capisco bene da cosa. Da un lavoro? Da una casa? Da una città che non sento mia? Da un futuro che non mi appartiene? Da cosa sto scappando?
La risposta a tante domande è semplice quanto devastante.
Da me stesso. Pedalo il più veloce possibile, il più disperatamente possibile, per scappare da ciò che sono, o credo di essere. Da ciò che non vorrei, essere. Ma è inutile.
Ahimé, non si può sfuggire a sé stessi. Non importa quanto lontano vado, sono sempre lì.
E poi all’improvviso, è l’ora di tornare a casa.
Il Blast, la fuga, è durato tutto un’istante.
Tra due ore entro a lavoro. Meglio non fare tardi.

Sulla via del ritorno, un vecchietto, vedendo che mi guardavo intorno disorientato, mi ha chiesto: “Tutto bene ragazzo? Ti sei perso? Sai dove sei?”
-Mi sono perso, ma è esattamente dove volevo essere.-

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Non riuscivo più a scrivere

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Ho abbandonato la scrittura per anni.
Ci ho provato, per un po’, ma poi ho quasi fallito.
Avevo vagamente cominciato con questo blog, scrivendo fondamentalmente cazzate tardoadolescenziali e racconti strampalati.
C’erano anche persone che mi dicevano che ero bravo, a scrivere.
Lo credo tutt’ora, di essere bravo a scrivere. E modesto, anche.
Ma poi ho smesso.
C’era un problema di fondo.
Non sapevo cosa scrivere.
Una specie di blocco dello scrittore.
Terribile.
Non sapevo più cosa scrivere.
Non solo, non sapevo più per chi o per cosa stavo scrivendo.
Quando hai diciassette, diciotto anni scrivi perché sei un adolescente del cazzo e vuoi provare a trasporre su carta le tue paranoie, i tuoi problemi.
La scrittura diventa la tua via di fuga. Immagino che sia così per tutti gli scrittori. Alcuni bevono, per fuggire. Alcuni scrivono e bevono. Io faccio entrambe le cose.
Bagni Proeliator è nato perché Nebo era bravo a raccontare cazzate, stava passando una vita da schifo e all’improvviso ha visto la luce. Le Storie del Cazzo ha vissuto da adolescente una vita di privazioni, e ora scopa come un coniglio, e ora racconta le sue scopate.
Ma io, che cazzo dovevo scrivere?
Cosa dovevo raccontare?
Cosa avevo di così interessante, che valesse la pena di essere letto?
E chi c’era che voleva leggere le mie stronzate?
Ecco, queste sono le domande che mi hanno violentato la voglia di scrivere, per anni.
Oltretutto, ho trovato come surrogato alla fuga della scrittura una fuga vera, scappando in Germania.
Però pian piano il senso di fastidio di non scrivere ha cominciato a crescere.
E stanotte, venerdì 14 aprile 2017 alle ore 3.53 circa è esploso.
Complice la birra, e una situazione molto particolare, frutto di altrettante situazioni particolari.

Ho finalmente delle nuove idee. So vagamente di cosa posso scrivere. Posso riprovarci.
Posso trovare il tempo per farlo.
Poi, se a leggermi saranno i miei soliti tre amici, chi cazzo se ne frega. Non credo di voler fare lo scrittore, da grande. Cazzo, non ho la minima idea di cosa voglio fare da grande.
Voglio scrivere solo perché lo so fare, perché era divertente e lo è tutt’ora, perché mi piace, e perché è una splendida valvola di sfogo.

Vedremo come andrà a finire.
Come diceva Munari, “da cosa nasce cosa”.

Ritorno al mondo nuovo

Ebbene sì.
Dopo due anni di vuoto ho deciso di riprendere in mano questo angolino di web.
Sono riuscito in qualche modo a rompere il blocco dello scrittore che mi assediava da tempo, e quindi è il momento di rimettersi a scrivere.
E come ogni ritorno porto novità: questo fottuto accumulo di scritti vari sarà più ordinato del passato.
Niente più disegni o cazzate fatte tanto perché dovevo dare un esame, niente più roba che non c’entra nulla e che non interessa a nessuno.
Solo scrivere, scrivere, scrivere.
E raccontare, e magari discutere, polemizzare, fare recensioni.

Insomma, si respirerà aria nuova.
Speriamo non sia aria di letame.

(anche se “dal letame nascono i fior.”)

Ci son quelle sere che vengon su a poesia – versione notturna

Si diceva, che ci son quelle sere che vengon su a poesia.
Alimentate forse a caffè, di quello che non prendevi da qualche giorno e poi tutt’a un tratto ti dà ‘na botta tale che ti parte su l’ispirazione e non finisci più.
Finché non finisce il caffè. O la musica, almeno.
Son quelle sere che il karma lo devi chiamare destino, perché anche McCandless te lo insegna, che certe cose vanno chiamate col loro vero nome.
Comunque si diceva, che magari quei cinque minuti persi in più a chiacchiera son quelli che ti fan chiudere in faccia il programma di prenotazione libri in biblioteca, e “mi spiace ripassi domani perché son le sette e cinque e noi alle sette chiudiamo”.
E che magari eri rimasto a parlare di rilegatoria per cinque minuti in più del dovuto.
Ma l’ispirazione, così come la poesia, va e viene.
Segue il destino, che a colpi di caffè e di sonno ti fa stare sveglio ad aspettare un nonniente e poi per l’appunto recuperi quei due libri  che davi per persi da tempo, perché li aveva nascosti una ragazza fiore col cappotto grigio tristezza. E se non rimani sveglio, magari, la ragazza fiore, chi la vedeva più.
È così che il destino se ne va, senza bisogno di pendolini, e tirandoti fuori robe che aspettavi da troppo tempo. Perché basta aspettarlo, e dopo un po’, arriva. Quando meno te lo aspetti. Tipo il 3 direzione Nave a Rovezzano. Io è un sacco che aspetto un certo autobus, ma ancora ha da passare.
Si vede che il karma sbaglia anche quando ritorna.
Ed appunto, si parlava di destini e vedi che ritorna il karma.
Si vede che il caffè sta per finire.

“Posso offrirti un caffè, ragazza fiore con le labbra di glicine?”
-Mi spiace, mi piacciono le donne-

Dovevo nascere ricco

Dovevo nascere ricco.
Così potevo fare tutte quelle cose che non ho mai potuto fare.
Cose di poco conto.
Tipo viaggiare un casino.
Imparare ad andare sullo snowboard, ed andare una volta all’anno a sciare.
Fondare una fighissima ed undergroundissima rivista di grafica-fumetto.
Frequentare una scuola di design da 16.000 euro all’anno.
Magari a New York.
Ho sentito parlare bene di New York.
Anche di Berlino.
Ecco, anche andare a Berlino.
Farmi tatuaggi.
Fare tatuaggi.
Comprarmi una moto.
Mangiare più spesso fuori.
Ma non sono nato ricco.

Peccato.

(questa cosa che ho scritto mi ricorda le poesie di Guido Catalano, ma lui è dannatamente più bravo, e io volevo davvero nascere ricco.
Comunque sia, riporterò in vita il blog con grandi cambiamenti)

Genetliaco allora

Svegliarsi tardi.
O quasi
Pensando di svegliarsi presto.
studio e cazzeggio e colazione e poi alla

una bistcca alla coop

preparo il pranzo, cucina in disordine

lezione???
Sclerata del Cozzi
a casa, ancora da risistemare cucina in disordine:
Scleri, furia, fretta. nonna che

Cena peserrima, chili di bistecca e patate, pasta venuta bene.
Spumante

Cioccolaaaahtaaaah
Fuori, bere, shottini, succhi gastrici, offerte, pochi amici ma buoni, poche amiche ma buone, poi chissà, bevute offerte, vulcani e birre, amici me stessi più vecchi discorsi su secchio “seifrogiogialluga” e “brruchi” e poi vedrete domani e GS.
Speriamo bene my friends, speriamo bene.
Amici, amici, amici.

FFF

A casa a dormire e scrivere cazzate.
Che sooooonno.

 

Ma domani andrò a lezione?

 

SOC

Una religione d’inchiostro

 

Un foglio di carta piegato in quattro come un origami,
tre sfigati di tre diverse generazioni,
una donna che fa sempre di testa sua,
una Casa della Creatività non tanto creativa,
una lamentela politico-ideologica,
molti cocktail, qualche birra e fiumi d’inchiostro.
Apparentemente, fatti totalmente slegati tra loro.
Ma andiamo con ordine.

Maggio duemiladieci, Firenze.
I sopravvissuti del corso di fumetti Sottoilponte si ritrovano per brindare alla fine del corso e al futuro di tutti, in attesa dell’esame che potrebbe segnare per sempre la vita di uno di loro.
Una proposta molto vaga ed eterea viene fatta dal guru del corso:
“Una mostra delle vostre opere, la possibilità di farvi insultare da qualcuno che non sia il sottoscritto, il boss della Comics o il fumettistacomunista.
O forse, addirittura una performance al Festival della Creatività.
Chi vuole partecipare?”
Chiamati dalla gloria ed increduli, tutti gli aspiranti disegnatori accettano.
Dopo una settimana, la metà del gruppo ha già scordato tutto.
Ma grazie all’aiuto dei potenti mezzi informatici, la proposta viene spammata tramite mail a tutto il gruppo.
E stavolta, quattro disgraziati accettano l’onere.
L’accordo col Festival viene fatto, rimane un unico problema.
Cosa diavolo fare?!

È il momento di buttare giù idee.
I giovani e non più giovani artisti, con le menti offuscate dai fumi dell’alcool e dai fumetti dei comics, cominciano a ritrovarsi, dopo qualche difficoltà, con un rituale preciso:
ore 19 al REX. Portare sketchbook.
Così, senza la minima idea di dove sarebbe andata a parare, ma aiutata da generose dosi di aperitivi, patatine, crostini, primi piatti, birre, mojiti e cocktail, l’allegra brigata comincia a fare brainstorming.
Le serate ideologiche si affollano ben presto di probabili facce, di strane storie, di balloon formato gigante, di tele chilometriche stese dall’alto in testa a suore di clausura.
Ma non è ancora abbastanza. L’estate arriva e tutto rimane in sospeso, mentre la fatidica data si avvicina.
Finita l’estate, arriva il momento di risvegliare gli ormai sopiti neuroni afferenti con una sana dose di china e SpiritoDaArdere, il tutto versato su papiri e pergamene e pergamene e papiri.
A poche settimane dalla perfomance, finalmente viene definito un progetto.
Il Festival lo accetta entusiasta, con 600 euri di sovvenzioni complessive per materiali.
Spendendone 300 vuol dire che ne restano altrettanti per droghe, vestiti di marca e rave party.
Il progetto c’è, ed è fighissimo: dipingere a pennello dei balloon su delle tele nel cortile delle Oblate, lasciarle riempire ai passanti per qualche giorno e poi dopo disegnare i personaggi che parlano.
Rimane un dubbio: quali personaggi fare?
Ricominciano così le sedute mistiche condite con appuntamenti al REX, patatine, alcol e tanta creatività ma poca voglia di fare.
Volano idee e fogli di carta, e cominciano a delinearsi pochi ed improbabili personaggi, come il Fridacervo e la Scimminchia.
Ma non sono ancora abbastanza, e il popolo chiede spettacolo.
Il guru corre in soccorso, ed usando un antiquato metodo creativo Shaolin, vengono disegnate in Gipipen linee non finite che saranno completate a giro da altri.
Il risultato? Un memorabile esercito di idioti, mostri, folli, creature e personaggi ridicoli, ognuno con un proprio nome ed una storia da raccontare.

Il dado è tratto: la performance è pronta, i personaggi ci sono, i partecipanti anche.
E il tutto a soli due giorni dal Festival.
Non rimane che andare a festeggiare il lavoro compiuto con uno o più brindisi alcolici.
Ma incredibilmente gli allegri ed ebbri Sottopontini si diradano, e rimangono in quattro:
una donna che fa sempre di testa sua, e tre sfigati di tre diverse generazioni.
Si dirigono alla Casa della Creatività, e complici la musica squallida, i cocktail e le menti spremute creativamente, parte il dibattito.
“Casa della Creatività? È solo un posto come un altro dove andare la sera a bere ed ascoltare musica, ma se solo si volesse si potrebbe fare davvero qualcosa di grande e di creativo per i giovani!”

È il guru a rispondere saggiamente alla giovane donna.
-Il guaio è che qui le cose rimangon sempre tutte uguali.
È più facile e più comodo gestire un pub che un centro creativo per ragazzi.
In Italia non si investe sui giovani.
E poi, il problema è che a pensarla così, siamo solo noi quattro coglioni.-
Attimi di sconforto e di giramento, ma il prode sfigato di seconda generazione rompe la situazione con un piccolo origami a quattro angoli, sui quali è possibile leggere, in senso antiorario “4”, “co”, “glio”, “ni”.
Ed è qui che la giovane sbotta: “Come mai hai scritto quattro conigli?”
Matte risate, sorrisi, giramenti di capo.
E quella sensazione che ti fa capire di avere appena assistito a qualcosa di nuovo e di epocale.

È cominciata l’era dei Coglionigli.

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FOTTETEVI

A tutti voi che passate in pista ciclabile a piedi ad occhi chiusi all’improvviso con la testa per aria fottendovene del passaggio delle bici rischiando la vita;

A quelle teste di cazzo del DSU che hanno fatto un sistema di calcolo dell’ISEE che  non funziona e ora hanno fatto delle tariffe per la mensa basate sul reddito che sono una presa per il culo totale perché coloro che guadagno dai 2000 ai 10000 euro al mese non sono minimamente toccati da 120 euro al mese mentre chi guadagna 1500 euro, 90 magari gli cambiano e io ovviamente che rientro inspiegabilmente in fascia media devo pagare la quota massima perché il sistema NON FUNZIONA perché sono registrato e tutt’ora frequentante l’ISIA ma nel database non risulto, sono un cazzo di errore;

A voi macchine lunghe un metro e un cazzo, come le seicento, le cinquecento, le smart, le cazzo di motozappe cilindrata cinquanta che costano quando un diamante sputato da Gesù, che parcheggiate a pettine occupando posti vitali ed essenziali, non solo, prendendo per il culo perché sembra che ci sia parcheggio e invece poi ci siete voi imbecilli che entrereste anche tra una striscia pedonale e l’altra tanto siete piccine;

A quei furbi bastardi che parcheggiano nei posti più impossibili e peggiori del mondo, così lo stronzo che si becca le clacsonate perché si sporge troppo con la macchina perché hanno lasciato la macchina talmente in curva che non si vedrebbero neanche le tette di Cristina Dal Basso, e io sono l’unico imbecille che cerca un parcheggio sensato perché voi siete furbi;

A tutti i finti invalidi, che prendono la macchina del nonno che magari è morto e si vanno a fare i giri in preferenziale, lasciando parcheggi vuoti alle tre del mattino, porcatroia, alle tre del mattino come cazzo ci fanno ad essere QUATTRO parcheggi per invalidi LIBERI?! SABATO SERA?! QUATTRO!! TUTTI NELLO STESSO ISOLATO MAREMMA PUTTANA!! ALLE DUE DOVE CAZZO VANNO TUTTI GLI INVALIDI?! C’hanno le feste a parte? Gli sconti all’ospedale?! Ma no e io devo cercarmi parcheggio;

Ai guidatori miopi come un cinghiale morto, che non riuscite a seguire neanche una fottuta striscia per terra che, porca puttana, le corsie se le hanno inventate un motivo ci sarà, e invece no, voi guidate in mezzo, a sinistra, di sbieco, ondeggiate in qua e in là, occupate tre corsie con uno sputo di macchina perché nessuno vi ha insegnato che non siamo nella fottuta Inghilterra e quindi si guida a destra;
A tutti voi:

sappiate che la mia modalità predefinita non è più disposta a sopportarvi.

FOTTETEVI!